giovedì 3 novembre 2011

Srebrenica \2

Prima della guerra il turismo termale aveva fatto la fortuna di questa località di montagna, che Tito aveva trasformato in luogo di vacanza  e di riposo per gli operai della Jugoslavia. All'epoca i visitatori erano ospitati da due grandi alberghi, oggi chiusi e in disuso. Uno di questi si trova a pochi passi dalla chiesa ortodossa: attraverso le vetrate rotte e rese opache dallo sporco e dalla polvere si intravedono le sedie e i tavoli, accatastati in mezzo alle erbacce penetrate dall'esterno e cresciute dentro a quella che un tempo doveva essere una grande hall piena di vita.
Ma la Srebrenica ante guerra poteva contare anche su altre risorse, oltre al turismo: le miniere di argento, alluminio e zinco, per esempio, oppure l'industria del legno, in grado di produrre sedie che venivano esportate persino negli Stati Uniti.
Oggi tutto questo è poco più di un ricordo. Qualche coraggioso operatore si sta dando da fare per attrarre nuovamente turisti, ma l'industria del legno fa fatica a ripartire sia per la mancanza degli impianti necessari alla lavorazione, sia perché, degli oltre 5.000 addetti alla lavorazione del legno presenti prima della guerra, non è rimasto nessuno. O perché se ne sono andati, di loro spontanea volontà, o perché sono stati addirittura uccisi nel corso delle ostilità.
Eppure, al di là di queste note decisamente tristi, il posto conserva un incanto e una magia ineguagliabile. Sarà per merito dell'aria pura di montagna, fresca e frizzante nonostante l'umidità, oppure per merito dei boschi di faggi che rivestono le pendici dei monti, dipingendoli di sfumature di colore che vanno dal giallo all'arancione al rosso, e che risaltano in un meraviglioso contrasto con il cielo, di un azzurro limpido e terso, e con il verde dei pascoli, ricoperti di rugiada resa brillante dai raggi del sole; oppure per i grandi fiumi che scorrono silenziosi e lenti in mezzo alle vallate, con le case dei contadini allineate a poca distanza dalla riva, in mezzo alla terra fertile, e i covoni di fieno attorno ai quali pascolano placidamente greggi di pecore accudite da qualche donna anziana. Immagini di un ambiente incontaminato nel quale sembra possibile riassaporare un rapporto con la natura che dalle nostre parti è stato irrimediabilmente compromesso.
Sarà per tutti questi elementi, per i visi duri e aspri delle donne anziane, per il loro sguardo fiero che esprime la volontà di chi non si è lasciato piegare né dal lavoro né dalla fatica; sarà per questo mondo segnato da consuetudini arcaiche e usanze che si trasmettono di generazione in generazione da secoli. Sarà per tutte queste cose assieme, e forse anche per altro, che Srebrenica mi ha lasciato una traccia indelebile nell'anima e che non vedo l'ora di ritornarvi. ( fine )

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