martedì 30 agosto 2011

Ciao Simon

Conoscevo Simon: era un uomo ricco di umanità e di gioia di vivere. Per anni ha allietato le serate al bar suonando la chitarra e cantando, con un'allegria che riscaldava il cuore e ti faceva pensare che il senso della vita risiedesse proprio nella semplicità di quei momenti, nel calore della compagnia di qualche amico e nella leggera ebbrezza che ti spingeva a tirare tardi scolando lattine di birra.
In seguito la vita ha riscosso il suo pedaggio irrompendo pesantemente in quel mondo di personaggi scalcinati ma semplici, sgraziati ma vitali, marginali ma fieri di riuscire ogni volta, giorno dopo giorno, a mettere insieme quel poco o quel tanto che bastava per illuminare la loro esistenza quotidiana, utilizzando ciò che un momento, una situazione o una serata metteva a disposizione, trasformando quasi per incanto la banalità in armonia ed emozione.
Negli ultimi anni lo avevo perso di vista, quindi non saprei dire quali siano stati i motivi alla base del suo tragico gesto. E' certo che, a un certo punto, qualcosa si deve essere rotto, fuori e dentro di lui. Forse non è più riuscito a trovare attorno a sé quel calore che lo spingeva a tirare avanti anche in mezzo alle difficoltà quotidiane, oppure le difficoltà erano diventate troppo pesanti e angosciose per poter essere alleggerite solo con l'aiuto di una chitarra, di una lattina di birra e la compagnia di qualche amico.
Ora che ho terminato il mio secondo romanzo, sto pensando di dedicarlo a lui, ma so già che non avrò il coraggio di farlo perché non lo conoscevo abbastanza a fondo e io sono affetto da una sorta di pudore dei sentimenti che m'impedisce di esprimere adeguatamente quello che provo; voglio però ricordarlo ugualmente per tutte le serate nelle quali ha dispensato a piene mani la sua allegria, per la sua energica esuberanza di toscano imbastardito, per la passione triste e ostinata per la sua squadra del cuore, la Fiorentina e, infine, per la sua profonda e dolente umanità.
Ciao Simon, è stato bello conoscerti

sabato 27 agosto 2011

I 5 comandamenti che mancano all'appello

Il genio comico di Mel Brooks una volta suggerì che Dio aveva dato all'umanità 15 comandamenti, scritti su 3 tavole, e non 10, come tramandato dalla tradizione. Quando Mosè si presentò al popolo d'Israele per mostrare le tavole della legge, una di queste cadde in terra e andò in pezzi, facendo perdere 5 dei 15 precetti. Dopo un attimo di comprensibile smarrimento Mosè si riprese brillantemente annunciando alla gente osannante sotto il Monte Sinai che i comandamenti erano 10, scritti sulle due tavole che reggeva con le mani. Pertanto era tutto a posto e non dovevano preoccuparsi.
Mi sono chiesto spesso in cosa potessero consistere i 5 precetti mancanti perché, a dire il vero, quelli che ci sono stati inculcati mi sono sempre apparsi carenti. Secondo me se ne possono tranquillamente aggiungere altri. Ad esempio:
"Non sperperare inutilmente il denaro, erogando prestiti a coloro che non sono in condizione per restituirli ( vedi: aziende che stanno per fallire ), soprattutto se ti è stato affidato da altri per farlo fruttare, altrimenti il Signore Dio tuo ti prenderà a calci nel culo per l'eternità."
Oppure:
"Segui sempre la via del Signore e non immischiarti in faccende che non hanno nulla a che fare con la vita spirituale, oppure la collera dell'Eterno si abbatterà sui tuoi figli fino alla millesima generazione."
E via di questo passo. Come suggerisce l'interpretazione di Mel Brooks, l'umanità ha sempre ignorato i 5 comandamenti andati persi, vivendo così nel peccato e nella corruzione. Che sia giunto il momento di rimediare? Si potrebbe indire un concorso...

La pazza storia del mondo 1

giovedì 25 agosto 2011

Armiamoci e partite

L'austero richiamo al rigore fiscale del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, si iscrive in quella lunga serie di generosi e poco nobili tentativi, molto in voga nel nostro  paese, di fare gli eroi con la pelle degli altri.
La Chiesa Cattolica, come ormai è arcinoto, non paga un centesimo di imposta su tutti gli immobili, siano essi utilizzati a fini commerciali che a fini puramente assistenziali e benefici. La misura venne adottata nel 2005 dal governo Berlusconi con il Decreto Fiscale collegato alla Legge Finanziaria, che introdusse l’esenzione ICI per gli immobili della Chiesa adibiti a scopi commerciali (ulteriormente estesa alle associazioni no-profit).
Il d.l. 223 del 4 luglio 2006 ha successivamente eliminato tale esenzione, ma solo in teoria perché la sua formulazione («Attività di natura esclusivamente commerciale»), vanificò di fatto il provvedimento e mantenne in vigore tale privilegio: è infatti sufficiente che all’interno dell’immobile destinato ad attività commerciale si mantenga una piccola struttura destinata ad attività religiose.
Il patrimonio immobiliare della Chiesa cattolica è enorme (si parla di un 20-25% dell'intero territorio nazionale), ed è difficile dire quanto di tale patrimonio sia utilizzato per fini spirituali e quanto per fini commerciali.
A questo si aggiunga il contributo dell'8 per mille sull'Irpef, che una norma bizzarra destina interamente alla Chiesa cattolica nel caso di mancata indicazione da parte del contribuente; il pagamento dello stipendio agli insegnanti di religione nelle scuole, che sono 25.000 e costano oltre 800 milioni l'anno; lo sgravio del 50% dell'imposta sul reddito delle società (Ires) agli enti ecclesiastici operanti nei settori dell’istruzione e della sanità, un risparmio stimato in quasi un miliardo di euro; la fornitura dell'acqua alla Città del Vaticano, interamente a carico dello Stato italiano; l'esenzione dell'Irpef per tutti i lavoratori della Santa Sede e della Città del Vaticano: almeno duemila persone.
Inutile fare ulteriori commenti se non che gli articoli di fondo partoriti dall'Avvenire in questi ultimi giorni, pieni di richiami lacrimosi e strappalacrime alla vocazione assistenziale e benefica della Chiesa, suscitano solo il senso del ridicolo, per non dire il profondo disprezzo, da parte di chi si trova già oberato di sacrifici e rischia di vedersi ulteriormente caricato il peso da portare, in nome del risanamento finanziario del paese.

domenica 14 agosto 2011

Il velo dell'ipocrisia

Ce l'hanno fatta anche questa volta, i rappresentanti della mega casta nazionale, a scaricare sulle altre categorie il peso dell'ennesima strizzata che il capitalismo finanziario ci ha imposto, non si capisce bene se per aiutarci a rimettere a posto i conti o per affondarci definitivamente, magari nella speranza di impossessarsi di qualche bene nazionale di grande valore.
Quando l'India era una colonia britannica, veniva spremuta senza pietà attraverso un'imposizione fiscale rapace e selvaggia, che distruggeva l'economia e la vita di interi villaggi pur di mantenere inalterato il livello di entrate della madrepatria. In realtà gli inglesi, direttamente, non estorcevano una rupia alla popolazione indiana, ma delegavano l'ingrato e duro compito ad una classe di possidenti locali i quali, pur di mantenere intatti i propri privilegi, si prestavano volentieri all'infame attività di spremere i propri connazionali.
Senza voler fare paralleli che suonerebbero molto azzardati ( l'Italia di oggi non è un paese sottosviluppato, o almeno, non lo è ancora diventato ) colpisce fortemente l'analogia tra la casta dei possidenti indiani che si adattò al regime coloniale inglese pur di sopravvivere e la nostra classe politica nazionale e regionale, sempre pronta a elaborare nuovi balzelli per accontentare le richieste di mercati finanziari implacabili ed esigenti ma, a quanto pare, strutturalmente incapace di farsi responsabile in prima persona dei sacrifici necessari per tenere a galla un paese sempre più incravattato dai propri debiti.

L'articolo di Gian Antonio Stella sulla manovra del governo

lunedì 1 agosto 2011

Buone vacanze

Dopo tante fatiche bloggeristiche è giunto il momento del meritato riposo. Vado a rosolarmi al sole della Calabria, riaprirò i battenti dopo Ferragosto (salvo imprevisti).
Buone ferie a tutti!