Conoscevo Simon: era un uomo ricco di umanità e di gioia di vivere. Per anni ha allietato le serate al bar suonando la chitarra e cantando, con un'allegria che riscaldava il cuore e ti faceva pensare che il senso della vita risiedesse proprio nella semplicità di quei momenti, nel calore della compagnia di qualche amico e nella leggera ebbrezza che ti spingeva a tirare tardi scolando lattine di birra.
In seguito la vita ha riscosso il suo pedaggio irrompendo pesantemente in quel mondo di personaggi scalcinati ma semplici, sgraziati ma vitali, marginali ma fieri di riuscire ogni volta, giorno dopo giorno, a mettere insieme quel poco o quel tanto che bastava per illuminare la loro esistenza quotidiana, utilizzando ciò che un momento, una situazione o una serata metteva a disposizione, trasformando quasi per incanto la banalità in armonia ed emozione.
Negli ultimi anni lo avevo perso di vista, quindi non saprei dire quali siano stati i motivi alla base del suo tragico gesto. E' certo che, a un certo punto, qualcosa si deve essere rotto, fuori e dentro di lui. Forse non è più riuscito a trovare attorno a sé quel calore che lo spingeva a tirare avanti anche in mezzo alle difficoltà quotidiane, oppure le difficoltà erano diventate troppo pesanti e angosciose per poter essere alleggerite solo con l'aiuto di una chitarra, di una lattina di birra e la compagnia di qualche amico.
Ora che ho terminato il mio secondo romanzo, sto pensando di dedicarlo a lui, ma so già che non avrò il coraggio di farlo perché non lo conoscevo abbastanza a fondo e io sono affetto da una sorta di pudore dei sentimenti che m'impedisce di esprimere adeguatamente quello che provo; voglio però ricordarlo ugualmente per tutte le serate nelle quali ha dispensato a piene mani la sua allegria, per la sua energica esuberanza di toscano imbastardito, per la passione triste e ostinata per la sua squadra del cuore, la Fiorentina e, infine, per la sua profonda e dolente umanità.
Ciao Simon, è stato bello conoscerti
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