venerdì 25 maggio 2012

Simmetria infranta

Dopo tre mesi di accanite discussioni con l'editore per dirimere appassionanti questioni attorno al numero di volte che la parola "cazzo" può essere usata in un romanzo poliziesco, ho deciso che non era più il caso di continuare e, non avendo firmato alcun contratto che mi vincolava alla pubblicazione, ho deciso di cercare un altro editore disposto a dare alle stampe il mio secondo romanzo, Simmetria Mortale. Ammesso che ci riesca perché la materia trattata, quella dei politici corrotti, è particolarmente spinosa e temo che sia alla base delle mille ritrosie e impedimenti che hanno definitivamente arenato la pubblicazione del libro.
Per adesso, quindi, sto cercando un altro editore. Se non riuscirò a trovarlo potrò comunque ricorrere ai siti web che offrono di pubblicare a pagamento qualsiasi tipo di testo, letterario e non; oppure potrei metterlo direttamente online, sulle pagine del mio blog, due o tre capitoli alla settimana, a puntate, come avveniva nell'ottocento con il feuilleton.
Nel frattempo mi sono messo a scrivere una sceneggiatura su un soggetto originale di tipo storico, ambientato nell'entroterra della riviera romagnola durante la Seconda Guerra Mondiale. Ne ho già completati due terzi e mi sto divertendo parecchio, quindi penso di arrivare presto alla conclusione. Non si tratta di un thriller questa volta, ma di una specie di saga familiare che ha luogo in un villaggio messo a soqquadro dall'attraversamento del fronte. La materia prima in questo caso è costituita dai ricordi dei miei parenti e in particolare di mio padre il quale, fin da quando ero bambino, ha sempre terminato i pranzi domenicali raccontando le memorie d'infanzia, che per lui hanno coinciso con il passaggio del fronte. A furia di ascoltarlo mi è venuto in mente che tutti quei ricordi potevano comporre una storia e mi sono messo a scriverla, però a lui ancora non ho detto nulla.

sabato 12 maggio 2012

Déjà vu

Coloro che speravano che la parabola discendente imboccata dalla Lega potesse aprire una nuova stagione della politica italiana hanno dovuto subito ricredersi: il vuoto creato dal gregge padano ormai sbandato e disperso è stato immediatamente occupato da un nuovo soggetto che, per quanto simpatico e spumeggiante, di politica da l'impressione di capirne meno del Trota.
Beppe Grillo non può nemmeno definirsi un demagogo perché la demagogia, cioè l'arte di illudere la gente utilizzando argomenti affascinanti ma irrealizzabili e fasulli, richiede comunque la conoscenza degli strumenti classici della retorica e della dialettica politica. Umberto Bossi lo è certamente un demagogo, poiché ha saputo allettare per quasi vent'anni i suoi elettori facendo leva sulle loro ansie, le loro insicurezze e le loro ambizioni, proponendo ricette magiche che di certo non ne hanno risolto i problemi ma che, in compenso, hanno fatto prosperare tutti i componenti del suo entourage, familiari e non.
In Beppe Grillo di tutto ciò non si scorge neanche l'ombra: si vede chiaramente che è una brava persona, anche se in passato ha avuto qualche grana giudiziaria, che è animato da un sincero disgusto verso lo stato attuale, davvero miserabile, in cui versa la politica italiana e che, come tanti, auspica una radicale opera di pulizia verso quel recinto chiuso dominato dalle ambizioni e dalle rivalità che è ormai divenuto il nostro parlamento.
A parte questi sentimenti, più che condivisibili, Grillo non ha saputo mettere in campo nessuna idea concreta per riformare il cadavere in putrefazione della politica italiana. La sua verve brillante e spiritata lo aiuta a strappare applausi ogni volta che appare in pubblico, ma il diktat emanato dopo il felice risultato di domenica scorsa ai rappresentanti del suo movimento di non accettare inviti ai dibattiti televisivi lascia trapelare il timore che questi ultimi facciano emergere il vuoto propositivo che regna tra gli adepti del comico genovese.
L'unica cosa che abbiamo capito chiaramente è che Grillo è un grande sostenitore delle energie rinnovabili e che vorrebbe coprire i tetti delle abitazioni e degli edifici di questo paese con centinaia di migliaia di pannelli solari, sia per abbassare la bolletta energetica nazionale sia per consentire ai proprietari degli immobili di guadagnare qualche soldino vendendo l'energia così prodotta. Nobile intendimento, sicuramente, ma che andrebbe articolato ed esposto in maniera più concreta e che comunque da solo non basta a formare un programma di un partito politico, né di opposizione né di governo. Invece fino ad ora abbiamo sentito solo gag.

domenica 6 maggio 2012

Avere vent'anni - Storia di un collettivo studentesco

Resoconto a più mani, a tratti spumeggiante e a tratti malinconico, di un periodo storico che mi sta particolarmente a cuore. Enrico Franceschini è un giornalista di Repubblica che nel 1977 frequentava la facoltà di Giurisprudenza, a Bologna. In quegli anni di grande fermento politico, la vita universitaria è particolarmente movimentata e alcuni studenti di Legge decidono di dare vita ad un collettivo studentesco con l'obiettivo di promuovere un approccio diverso allo studio del sapere accademico. In realtà si studia poco, e più che altro in gruppo, e ci si diverte molto: tra occupazioni, amori, partite a tressette, spaghettate notturne, discussioni interminabili seduti sugli scalini della cattedrale di San Petronio, manifestazioni, slogan, spinelli, vacanze alternative e grandi raduni, il tempo dell'università trascorre in fretta e diventa una grandiosa occasione di maturazione collettiva, finalmente liberi dai confini angusti dei luoghi di provenienza, che per alcuni significa una realtà contadina ancora immersa nella ripetitività della sussistenza economica e per altri un clima familiare magari più moderno, ma ancorato a schemi di comportamento ormai logori e invecchiati.
Per tutti quanti, l'impatto con Bologna ha il sapore della scoperta di infiniti mondi dei quali non si sospettava neppure l'esistenza: ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte d'Italia si rendono conto all'improvviso di non essere così distanti tra loro, di nutrire gli stessi sogni e le stesse preoccupazioni. Per i protagonisti di questo libro collettivo l'esperienza universitaria rappresenta una svolta a livello esistenziale, la realizzazione concreta di un vissuto quotidiano che è prima di tutto rivoluzione dei rapporti inter-personali, felicità di esistere e di partecipare ai cambiamenti esprimendo una carica di ironia trasgressiva e liberatoria.
La Bologna di allora mal digerì le manifestazioni contestatarie di quel Movimento, dalle auto riduzioni nei cinema e nei ristoranti fino alle barricate in piazza contro i blindati della Polizia, e nel breve volgere di qualche mese gli studenti, protagonisti dell'assalto al cielo, si trovarono sbattuti a terra, stretti nella morsa della repressione militar-poliziesca e delle lusinghe degli spacciatori che all'improvviso fecero la loro lugubre comparsa a Piazza Verdi e dintorni. I quaranta che hanno accettato di partecipare alla redazione del libro sono tra coloro che hanno avuto la forza, il coraggio o la fortuna di non lasciarsi tentare né dal sogno folle del "grande salto" verso la lotta armata, né di sprofondare nel circolo autodistruttivo del consumo di eroina, riuscendo a inserirsi, spesso brillantemente, nel mondo del lavoro ( trent'anni fa la laurea contava ancora qualcosa ), pur con il loro bagaglio di nostalgia e amarezza per essere stati privati di una stagione tanto breve e felice.
Le brevi note autobiografiche raccolte da Franceschini, tutte diverse tra loro anche se incentrate sugli stessi temi, l'amore e la felicità, testimoniano di un universo umano che, pur avendo vissuto la disillusione e la fine degli ideali giovanili, è stato comunque in grado di costruirsi un'esistenza serena e ricca di soddisfazioni, sia sul piano personale che su quello professionale. L'unico appunto che si può muovere a coloro che hanno accettato di raccontarsi è l'eccesso autocritico che in taluni casi sfiora l'autoflagellazione: è vero che il comunismo è finito come è finito, ma alcune conquiste di civiltà di cui ancora oggi andiamo fieri, come la legge 194 sull'interruzione di gravidanza, sono frutto delle lotte e dell'impegno di quella generazione, il cui slancio, come testimonia il resoconto più lungo e più amaro della raccolta, è stato stroncato precocemente dal furore di certi magistrati che, nel loro accanimento repressivo, non hanno fatto nulla per distinguere le mele marce da quelle sane.
Il libro merita di essere letto perché fornisce uno sguardo "diverso" su quegli anni: innanzitutto per la cultura giuridica di cui sono permeati i quaranta narratori, che deve aver contribuito notevolmente a temperare gli eccessi ideologici di cui gli anni settanta sono stati pieni; poi per lo spiccato buonsenso che, anche nel clima di radicalismo politico, li ha tenuti lontani dalla violenza e, in seguito, sembra avere guidato le loro scelte di vita.