domenica 26 maggio 2013

I buoni lo sognano i cattivi lo fanno - Robert Simon

"Non c'è niente di più facile che condannare un malvagio, niente di più difficile che capirlo." Questa frase di Dostoevskij in calce a uno dei capitoli del libro può essere considerata la traccia del saggio scritto dallo psichiatra americano Robert Simon e pubblicato da Raffaello Cortina Editore: entrare nella mente di coloro che compiono atti criminali per comprendere il percorso evolutivo che li ha portati a infrangere quel limite, invalicabile ai più, rappresentato dal rispetto delle regole della civiltà e della legalità. Secondo l'autore, infatti, i pensieri di odio, sfruttamento, crudeltà, dominio e violenza che albergano nella psiche degli assassini seriali o di coloro che, in preda a un raptus di follia, decidono di sterminare i colleghi di lavoro, i vicini di casa o addirittura i propri familiari sono comuni a molte persone che covano in silenzio tali impulsi senza mai osare metterli in pratica, grazie a meccanismi di autodifesa che ne impediscono la realizzazione concreta.
Il metodo proposto dall'autore per addentrarsi nei labirinti mentali dei "cattivi" è quello dell'empatia, cioè dell'immedesimazione nelle fantasie e nell'immaginazione degli psicopatici criminali, un metodo che ci mostra sorprendentemente come spesso i "buoni" abbiano fantasie analoghe a quelle di chi delinque, cioè sognino di fare ciò che i "cattivi" sovente mettono in pratica. La differenza consiste solo nel grado di intensità delle fantasie, che nel caso di coloro che commettono atti criminali raggiunge una tale veemenza da rendere impossibile al soggetto sottrarsi alla loro attuazione. Pertanto la tesi di Robert Simon è che le persone "cattive" possano apparire molto simili a noi nella vita quotidiana poiché la psicopatologia include anche i caratteri della normalità, così come, viceversa, la normalità, ovvero la salute mentale, include anche l'accettazione di una dose di malattia o di follia all'interno dei propri canoni di comportamento.
"La tesi che fra buoni e cattivi esista soltanto una distinzione sottile è difficile da accettare per molte persone. Per alcuni di coloro che si considerano buoni, l'idea stessa è infamante. Tuttavia, ritengo che la convinzione che noi siamo esseri buoni e che la malvagità esista soltanto all'esterno sia puramente illusoria, un'illusione che però alimenta il motore del pregiudizio e della discriminazione ... Nel corso del libro cerco in svariati modi di trovare una risposta a un interrogativo difficile, se non impossibile: perché i cattivi fanno ciò che i buoni si limitano a sognare?... Il libro, infatti, si fonda sull'idea che, una volta che avremo riconosciuto come non esista un abisso a separare i "buoni" dai "cattivi", saremo in grado di guardare adeguatamente dentro noi stessi, anziché all'esterno [perché] ...  i demoni dell'uomo prosperano nell'oscurità. Fare luce su di essi è certo un compito arduo. Tuttavia la quintessenza della natura umana è proprio la capacità di riflettere su noi stessi, di svelare e comprendere i nostri demoni, per imbrigliarli e utilizzarli in modo proficuo. I criminali non sanno farlo: sono incredibilmente carenti riguardo a capacità di autoriflessione e autocontrollo."
Questo passaggio tratto dall'introduzione ci chiarisce definitivamente i motivi di questo lungo viaggio nell'inferno della mente umana, attraverso psicopatici, macchine assassine, stupratori, criminali dalla personalità multipla, guru religiosi che si fanno carnefici dei propri adepti, serial killer sessuali e impiegati ultra quarantenni ormai senza più motivazioni professionali che, in preda a un raptus di follia generato dall'angoscia della propria condizione, decidono di sterminare colleghi e datori di lavoro, spargendo attorno alla loro esistenza una spirale di sangue e di morte. L'autore introduce e svolge ogni tappa di questo percorso utilizzando numerosi esempi raccolti sia tra coloro che hanno commesso azioni sinistre, sia tra coloro che le hanno subite, vittime di una violenza tanto brutale quanto, all'apparenza, ingiustificata.
Uno dei capitoli più interessanti del libro è dedicato a quel genere di abusi messo in atto dai "professionisti dell'aiuto", una categoria che comprende avvocati, ecclesiastici, insegnanti, medici, psicoterapeuti e tutti coloro che forniscono una prestazione di tipo assistenziale ai propri pazienti: un tipo di crimine particolarmente odioso perché sfrutta, e tradisce, il capitale di fiducia che ogni persona in difficoltà ripone nell'operatore a cui si rivolge per tentare di superare un momento di crisi. Purtroppo, chi mette la propria mente nelle mani di un professionista ha la tendenza ad abbassare la soglia di attenzione e di diffidenza che ognuno di noi prova di fronte ad un estraneo, finendo per trovarsi in una situazione di grande vulnerabilità psicologica. La conseguenza è che, a volte, coloro che cercano aiuto si trovano sospinti, senza accorgersene, in una condizione di dipendenza psicologica ai limiti della schiavitù, che può condurli fino alla disperazione e al suicidio.
Il fatto che questo tipo di abusi, che negli Stati Uniti pare siano molto frequenti, siano commessi da persone rispettabili, cioè regolarmente abilitati all'esercizio della loro professione, induce a riflettere su quanto potenti siano i demoni interiori che albergano in ogni individuo, se sono capaci di spingerlo a compiere atti criminali infamanti non appena le condizioni esterne lo consentono, e dimostra come i limiti imposti dalle regole della civiltà al comportamento umano siano molto più labili di quanto non appaiano nella realtà.

domenica 5 maggio 2013

Mala tempora currunt sed peiora parantur

Il 9 novembre del 1979, sul settimanale del Pci Rinascita, apparve un articolo a firma di Giorgio Amendola, leader della corrente riformista del partito alla quale aderiva anche l'attuale Presidente della Repubblica, che denunciava apertamente le debolezze e le connivenze di alcuni esponenti del Partito Comunista verso la violenza politica, sia nei luoghi di lavoro che nelle piazze.
L'articolo fece scalpore perché era la prima volta che un dirigente del Pci ammetteva in pubblico che il suo partito, negli anni passati, avesse soffiato sul fuoco della rabbia popolare, spingendo molti giovani alla rivolta di piazza al fine di mettere in discussione gli equilibri politici esistenti e attaccare frontalmente il principale partito di governo, la Democrazia Cristiana.
Era passato poco più di un anno dal rapimento e dall'uccisione del Presidente della Dc Aldo Moro e, nonostante il fatto che le istituzioni non avessero ceduto al ricatto delle Br, la marea degli atti terroristici era andata gonfiandosi sempre più. Il 24 gennaio del 1979 a Genova le Brigate Rosse avevano ucciso un sindacalista della CGIL, Guido Rossa, che qualche mese prima aveva fatto arrestare un operaio che distribuiva volantini delle Br all'interno della fabbrica nella quale entrambi lavoravano, l'Italsider. Quell'omicidio segnò l'inizio della fine della penetrazione dei terroristi all'interno del proletariato di fabbrica, che fino ad allora aveva simpatizzato più o meno scopertamente con le azioni violente delle Br, soprattutto quando queste colpivano dirigenti o capi squadra particolarmente invisi. I sindacati e la classe operaia si chiusero a riccio e poco alla volta le frange più violente vennero marginalizzate.
Il 7 aprile dello stesso anno il sostituto procuratore Pietro Calogero ordinò una retata di decine di militanti dell'area dell'Autonomia Operaia, tra i quali spiccavano Toni Negri, docente di Scienze Politiche a Padova, Emilio Vesce, direttore di Radio Sherwood, sempre a Padova, e il poeta e scrittore Nanni Balestrini. Parecchi riuscirono a mettersi in salvo espatriando in Francia, ma le retate e gli arresti proseguirono per diversi anni, seguendo il cosiddetto "teorema Calogero", vale a dire, secondo le parole del magistrato, l'ipotesi che  "un unico vertice dirige il terrorismo in Italia. Un’unica organizzazione lega le Br e i gruppi armati dell’Autonomia. Un’unica strategia eversiva ispira l’attacco al cuore e alla base dello Stato".
Alla fine dell'iter processuale il teorema risultò infondato e gran parte degli inquisiti venne assolta.  Le assoluzioni furono confermate in Cassazione, ma nel periodo a cavallo tra gli anni settanta e ottanta migliaia di semplici militanti di sinistra vennero incarcerati per un anno o più, sulla base di semplici supposizioni indiziarie. In molti casi, infatti, l'accusa si basava su dichiarazioni infondate di qualche pentito, che accusavano il tale o il tal altro di essere stato presente in un dato locale nel giorno in cui erano presenti anche dei brigatisti o di essere amico di qualche soggetto condannato per atti di terrorismo. L'effetto complessivo di questa ondata di arresti ingiustificati fu quello di diffondere il terrore all'interno degli ambienti della sinistra extraparlamentare e di spingere molti militanti a "rifluire" verso la sfera privata, cioè ad abbandonare la militanza politica.
Pietro Calogero sintetizzò la sua azione con un riferimento alla famosa frase di Mao secondo la quale i combattenti comunisti devono muoversi come pesci nelle risaie: visto che non si riesce a prendere il pesce, bisogna prosciugare il mare ... Cioè visto che i gruppi terroristici riuscivano a trovare connivenze, complicità e nuovi adepti negli ambienti dell'Autonomia Operaia, l'unica soluzione era svuotare il mare, cioè procedere ad arresti di massa per intimidire i militanti e convincerli a dedicarsi ad altro.
L'azione giudiziaria, unita alla diffusione dell'eroina che proprio in quegli anni dilagava nei quartieri popolari e non solo, ebbe l'effetto desiderato: stroncò ogni forma di aggregazione popolare che potesse dar luogo a iniziative politiche di sinistra e spianò la strada, negli anni ottanta, all'ascesa politica di Bettino Craxi e del gruppo dirigente del Partito Socialista.
L'articolo di Amendola apparso su Rinascita, pertanto, è da intendere come una svolta del gruppo dirigente del Pci verso destra. Non a caso Amendola aveva sempre inseguito l'alleanza con il Partito Socialista: la dimostrazione di ciò è che l'anno successivo la Fiat procedette ad una massiccia ristrutturazione aziendale che comportò il licenziamento di migliaia di operai e in particolare dei soggetti più attivi sul piano politico e sindacale.
Perché ho ricordato questi avvenimenti? Perché l'impressione è che negli ultimi anni abbiamo vissuto una piccola rivoluzione attraverso il web, nel senso che per la prima volta nella storia di questo paese è stata offerta a tanti comuni cittadini come me ed altri la possibilità di esprimere liberamente la propria opinione attraverso i blog, senza filtri burocratici e senza guadagnarci nulla, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, ma disponendo della più ampia e completa libertà di espressione. Io ho vissuto questo periodo con grande entusiasmo, consapevole che prima o poi qualcuno avrebbe chiuso il rubinetto aperto con così munifica  generosità, probabilmente per creare un clima favorevole a ridiscutere gli equilibri politici esistenti.
L'Italia, come è noto, è un paese che non è mai pienamente uscito dal Medioevo, perché non ha mai avuto luogo in questa nazione una riforma religiosa o una rivoluzione politica che ponessero su basi autenticamente moderne il rapporto tra cittadino e Stato. In Italia solo chi è vicino al potere può prendersi il diritto di criticare, contestare, insultare, deridere, denigrare o litigare fino allo sfinimento, purché rimanga all'interno del recinto creato dalle classi dirigenti. Agli altri, a noi comuni cittadini, viene lasciata solo la prerogativa di applaudire, ridere quando c'è da ridere e svenarci pagando tasse e bollette. Non so quanto tempo ci vorrà per ridurre al silenzio la schiera di coloro, come il sottoscritto, che ormai hanno preso gusto ad esprimere ciò che pensano su un blog o su qualche social network. Temo che le sberle non saranno sufficienti e allora arriveranno le martellate, e chissà che cos'altro. Fino a quando non spunterà un nuovo Calogero disposto a barattare i propri principi morali con qualche scatto di carriera. E allora il paese tornerà finalmente alla normalità.