domenica 27 novembre 2011

Simmetria mortale

Finalmente il mio secondo romanzo è pronto, ho finito di rivederlo e mi sembra che vada bene. In realtà lo avevo già terminato lo scorso febbraio, ma non mi convinceva pienamente. La sortita nei Balcani ha prodotto l'effetto sperato, evidentemente sentire il profumo dell'Oriente mi fa bene: mi sono rimesso al lavoro, ho tagliato qualcosa, aggiunto qualcos'altro, rivisto dei passaggi e ora mi pare che il risultato complessivo sia più che soddisfacente.
Il protagonista è sempre il commissario Forti della Questura di Rimini, che questa volta viene buttato giù dal letto, una domenica mattina di fine febbraio, per indagare sull'omicidio di una prostituta. La vicenda è ambientata nel 2006, alla vigilia delle elezioni politiche, un momento storico importante perché all'improvviso si rovesciano equilibri che sembravano consolidati, facendo apparire  tutto ciò che era avvenuto nei 5,10, 20, 30 anni precedenti sotto una luce diversa. Ci sono amicizie che si rompono, carriere che rischiano di andare in frantumi ed esistenze apparentemente felici che si rivelano appoggiate su basi molto fragili, anche se in pubblico vengono spacciate per solidissime.
Nel corso di quest'indagine il commissario Forti fa un uso molto abbondante e disinvolto delle intercettazioni telefoniche, rivelando un aspetto delle nuove tecnologie che a molti, me compreso, era sfuggito: cioè il potenziale quasi infinito di controllo e di intrusione nelle vite dei singoli, che, grazie all'elettronica, oggi raggiunge un livello impensabile fino a qualche anno fa. Tutto questo, e anche molto altro, è "Simmetria Mortale", la mia seconda fatica letteraria, che tra breve sarà disponibile nelle librerie (spero).

sabato 12 novembre 2011

Il grande cetriolo globale

Non sono rimasto per nulla entusiasta dell'accoglienza riservata a Mario Monti dai senatori di Palazzo Madama. Se Monti ha intenzione di attuare un programma di riforme tanto radicale da eliminare tutte le sacche di privilegio esistenti nel nostro paese, per quale motivo la categoria più privilegiata di tutte, quella dei politici, dovrebbe essere tanto entusiasta dell'ingresso in politica dell'ex Rettore della Bocconi?
Capisco ancora di meno l'entusiasmo dimostrato dai partiti di opposizione alla prospettiva di sostenere un governo tecnico che cerchi di mettere in pratica delle trasformazioni così profonde: Bersani & c. hanno trascorso gli ultimi anni della loro vita cercando di sfiancare Silvio Berlusconi, lo hanno lavorato incessantemente ai fianchi e ora che, grazie alla collaborazione degli ex di An, sono riusciti a logorarlo e a sfinirlo, perché non chiedono al Capo dello Stato di sciogliere le camere e andare subito alle urne?
Perché i partiti che hanno lavorato tanto per far cadere il governo non tentano di approfittare della caduta di popolarità dell'ormai ex presidente del consiglio per mettere in saccoccia un risultato elettorale favorevole che garantirebbe loro la maggioranza dei seggi parlamentari per altri cinque anni e forse anche più, considerato lo sbandamento che serpeggia tra le fila dell'attuale partito di maggioranza? Non sarebbe più logico, più razionale e anche politicamente più sensato chiedere di indire nuove elezioni per gennaio, in modo che ai primi di febbraio si possa già insediare un governo eletto dal popolo in grado di attuare un programma passato al vaglio del responso elettorale?
Ciò a cui stiamo assistendo in questi giorni, compreso il nauseante attivismo di Giorgio Napolitano, ci dice che ai piani alti sembrano intenzionati a indirizzare la crisi in una direzione ben precisa, che è poi quella voluta dal capitalismo finanziario europeo. E allora sorge un dubbio atroce: cioé che il capitalismo internazionale abbia intravisto, come soluzione per uscire dalla crisi, quella di trasformare il Belpaese in una sorta di Corea o di Thailandia europea per l'industria high tech, con manodopera qualificata a basso costo e altamente disciplinata da una nuova ( si fa per dire ) legislazione sul lavoro che conceda alle multinazionali la facoltà di intimidire i propri dipendenti con la prospettiva del licenziamento quando alzano troppo la testa per reclamare aumenti di salario e migliori condizioni di lavoro. Il tutto, naturalmente, applicato anche ai dipendenti del settore pubblico, caso mai a qualcuno venisse in mente, rompendo gli schemi corporativi, di schierarsi apertamente a difesa dei pari grado del settore privato o di mostrarsi troppo autonomo rispetto alle direttive che giungono dall'alto.
E' sottinteso che, in questa prospettiva, i privilegi attualmente posseduti dalla casta dei politici rimarrebbero tali e non verrebbero minimamente intaccati, ci mancherebbe altro, altrimenti perché i parlamentari sarebbero tanto entusiasti della presenza di Mario Monti nell'emiciclo del Senato?

giovedì 3 novembre 2011

Srebrenica \2

Prima della guerra il turismo termale aveva fatto la fortuna di questa località di montagna, che Tito aveva trasformato in luogo di vacanza  e di riposo per gli operai della Jugoslavia. All'epoca i visitatori erano ospitati da due grandi alberghi, oggi chiusi e in disuso. Uno di questi si trova a pochi passi dalla chiesa ortodossa: attraverso le vetrate rotte e rese opache dallo sporco e dalla polvere si intravedono le sedie e i tavoli, accatastati in mezzo alle erbacce penetrate dall'esterno e cresciute dentro a quella che un tempo doveva essere una grande hall piena di vita.
Ma la Srebrenica ante guerra poteva contare anche su altre risorse, oltre al turismo: le miniere di argento, alluminio e zinco, per esempio, oppure l'industria del legno, in grado di produrre sedie che venivano esportate persino negli Stati Uniti.
Oggi tutto questo è poco più di un ricordo. Qualche coraggioso operatore si sta dando da fare per attrarre nuovamente turisti, ma l'industria del legno fa fatica a ripartire sia per la mancanza degli impianti necessari alla lavorazione, sia perché, degli oltre 5.000 addetti alla lavorazione del legno presenti prima della guerra, non è rimasto nessuno. O perché se ne sono andati, di loro spontanea volontà, o perché sono stati addirittura uccisi nel corso delle ostilità.
Eppure, al di là di queste note decisamente tristi, il posto conserva un incanto e una magia ineguagliabile. Sarà per merito dell'aria pura di montagna, fresca e frizzante nonostante l'umidità, oppure per merito dei boschi di faggi che rivestono le pendici dei monti, dipingendoli di sfumature di colore che vanno dal giallo all'arancione al rosso, e che risaltano in un meraviglioso contrasto con il cielo, di un azzurro limpido e terso, e con il verde dei pascoli, ricoperti di rugiada resa brillante dai raggi del sole; oppure per i grandi fiumi che scorrono silenziosi e lenti in mezzo alle vallate, con le case dei contadini allineate a poca distanza dalla riva, in mezzo alla terra fertile, e i covoni di fieno attorno ai quali pascolano placidamente greggi di pecore accudite da qualche donna anziana. Immagini di un ambiente incontaminato nel quale sembra possibile riassaporare un rapporto con la natura che dalle nostre parti è stato irrimediabilmente compromesso.
Sarà per tutti questi elementi, per i visi duri e aspri delle donne anziane, per il loro sguardo fiero che esprime la volontà di chi non si è lasciato piegare né dal lavoro né dalla fatica; sarà per questo mondo segnato da consuetudini arcaiche e usanze che si trasmettono di generazione in generazione da secoli. Sarà per tutte queste cose assieme, e forse anche per altro, che Srebrenica mi ha lasciato una traccia indelebile nell'anima e che non vedo l'ora di ritornarvi. ( fine )

martedì 1 novembre 2011

Srebrenica \1

Srebrenica è uno di quei luoghi che, un tempo, si dicevano "abbandonati da Dio". In realtà, dopo esserci stato, posso affermare che il problema di questa cittadina situata sul territorio bosniaco, a pochi chilometri dal confine con la Serbia, è che la presenza di Dio si è fatta sentire in maniera fin troppo massiccia: all'interno del nucleo di case, abitato ormai da poco più di tremila anime ( erano oltre trentamila prima della guerra ) si trovano due moschee e una chiesa ortodossa, un affollamento di edifici di culto decisamente sproporzionato alla densità di esseri umani che si aggirano desolatamente tra le pareti scoscese della gola nella quale è incastonata la città.
Nella chiesa ortodossa, in un angolo del giardino, è seppellito uno degli ultimi pope che hanno guidato la comunità serba, morto nel 1992. Nella foto ricordo posta sulla tomba l'uomo è ritratto in divisa militare, con tanto di berretto e cinturone appeso alla vita; la folta barba nera che gli incornicia il viso lo rende simile, nell'aspetto, a una sorta di Che Guevara dei Balcani. Dopo lo scoppio della guerra il pope si era messo alla guida di una banda di miliziani che si aggirava per le montagne della zona terrorizzando i contadini e i pastori di religione musulmana, uccidendo, torturando e stuprando. Ancora oggi, molti serbi del luogo lo ritengono un eroe.
L'episodio è indicativo del clima che si respira in questo angolo di Bosnia, a quasi 15 anni dalla fine delle ostilità belliche e dagli accordi di Dayton, che, sancendo le divisioni territoriali frutto della pulizia etnica, hanno esacerbato e inasprito i rancori tra la popolazione. I musulmani sentono di essere stati traditi vedendo circolare ancora a piede libero molti criminali di secondo piano che le autorità internazionali non hanno voluto, o potuto, perseguire: oltre ai pesci grossi come Mladic e Karadzic, infatti, ci sono numerosi personaggi che hanno preso parte alle spedizioni punitive, agli stupri e alle razzie, ottenendone anche dei benefici sul piano personale, ma che nessuno ha avuto il coraggio di arrestare per non irritare ulteriormente la comunità serba, già frustrata e delusa per non aver coronato il sogno della Grande Serbia e per essere stata sostanzialmente dimenticata dalla madre patria dopo la fine dei combattimenti.
Il simbolo più esplicito delle divisioni e degli odi che serpeggiano tra la popolazione è un grande striscione appeso sulla rete di recinzione del mausoleo che si trova sulla strada tra Bratunac e Srebrenica, un luogo che dovrebbe invitare alla pace e alla conciliazione. Il cimitero ospita gran parte delle tombe degli oltre 8.000 musulmani fatti giustiziare da Mladic, e le ospiterà tutte non appena i medici dell'Onu, incaricati di ricostruire i corpi estratti dalle fosse comuni con l'aiuto del Dna, termineranno il loro lavoro. Lo striscione reca la scritta "Serbia=aggressione=genocidio", quasi a ricordare a ogni persona che si reca in quel luogo il dovere di vendicare i torti subiti, invece di cercare una conciliazione con la parte serba della popolazione, anch'essa segnata da lutti e dolori, nonostante si porti addosso la responsabilità di avere dato inizio alle ostilità. ( continua )