Srebrenica è uno di quei luoghi che, un tempo, si dicevano "abbandonati da Dio". In realtà, dopo esserci stato, posso affermare che il problema di questa cittadina situata sul territorio bosniaco, a pochi chilometri dal confine con la Serbia, è che la presenza di Dio si è fatta sentire in maniera fin troppo massiccia: all'interno del nucleo di case, abitato ormai da poco più di tremila anime ( erano oltre trentamila prima della guerra ) si trovano due moschee e una chiesa ortodossa, un affollamento di edifici di culto decisamente sproporzionato alla densità di esseri umani che si aggirano desolatamente tra le pareti scoscese della gola nella quale è incastonata la città.
Nella chiesa ortodossa, in un angolo del giardino, è seppellito uno degli ultimi pope che hanno guidato la comunità serba, morto nel 1992. Nella foto ricordo posta sulla tomba l'uomo è ritratto in divisa militare, con tanto di berretto e cinturone appeso alla vita; la folta barba nera che gli incornicia il viso lo rende simile, nell'aspetto, a una sorta di Che Guevara dei Balcani. Dopo lo scoppio della guerra il pope si era messo alla guida di una banda di miliziani che si aggirava per le montagne della zona terrorizzando i contadini e i pastori di religione musulmana, uccidendo, torturando e stuprando. Ancora oggi, molti serbi del luogo lo ritengono un eroe.
L'episodio è indicativo del clima che si respira in questo angolo di Bosnia, a quasi 15 anni dalla fine delle ostilità belliche e dagli accordi di Dayton, che, sancendo le divisioni territoriali frutto della pulizia etnica, hanno esacerbato e inasprito i rancori tra la popolazione. I musulmani sentono di essere stati traditi vedendo circolare ancora a piede libero molti criminali di secondo piano che le autorità internazionali non hanno voluto, o potuto, perseguire: oltre ai pesci grossi come Mladic e Karadzic, infatti, ci sono numerosi personaggi che hanno preso parte alle spedizioni punitive, agli stupri e alle razzie, ottenendone anche dei benefici sul piano personale, ma che nessuno ha avuto il coraggio di arrestare per non irritare ulteriormente la comunità serba, già frustrata e delusa per non aver coronato il sogno della Grande Serbia e per essere stata sostanzialmente dimenticata dalla madre patria dopo la fine dei combattimenti.
Il simbolo più esplicito delle divisioni e degli odi che serpeggiano tra la popolazione è un grande striscione appeso sulla rete di recinzione del mausoleo che si trova sulla strada tra Bratunac e Srebrenica, un luogo che dovrebbe invitare alla pace e alla conciliazione. Il cimitero ospita gran parte delle tombe degli oltre 8.000 musulmani fatti giustiziare da Mladic, e le ospiterà tutte non appena i medici dell'Onu, incaricati di ricostruire i corpi estratti dalle fosse comuni con l'aiuto del Dna, termineranno il loro lavoro. Lo striscione reca la scritta "Serbia=aggressione=genocidio", quasi a ricordare a ogni persona che si reca in quel luogo il dovere di vendicare i torti subiti, invece di cercare una conciliazione con la parte serba della popolazione, anch'essa segnata da lutti e dolori, nonostante si porti addosso la responsabilità di avere dato inizio alle ostilità. ( continua )
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