Nelle ultime volontà di Alfred Nobel, morto nel 1895, si legge che "il Premio Nobel per la Pace dovrà essere assegnato alla persona che ha fatto il massimo e miglior lavoro per la fratellanza tra le nazioni, per l'abolizione o la riduzione degli armamenti esistenti e per l'organizzazione e la promozione di iniziative in favore della pace."
Non è chiaro cosa abbiano a che fare i sacri principi di Alfred Nobel con le quote di partecipazione delle aziende militari che hanno gonfiato per quasi vent'anni il portafoglio del Fondo Pensionistico Norvegese, facendone il secondo fondo sovrano al mondo dopo quello degli sceicchi di Abu Dhabi. Dal 2005 al 2010, infatti, il governo si è disfatto di tutte le quote azionarie imbarazzanti, forse nel tentativo disperato di minimizzare l'impatto delle class action e di far cassa in vista delle cause di risarcimento che potrebbero piovere sulla testa del governo norvegese, non appena verrà sollevato il velo sulle complicità delle stesse aziende nei conflitti e nei genocidi che, negli anni novanta, hanno devastato in tutto il mondo, Europa compresa, l'esistenza di popolazioni inermi.
Per ironia della sorte, nella storia ultracentenaria del premio Nobel per la Pace sono finiti tra i candidati anche Adolf Hitler, Benito Mussolini e Joseph Stalin, anche se il primo fu proposto come una provocatoria reazione alla candidatura di Neville Chamberlaine, allora artefice della politica di appeasement verso Hitler.
Resta il fatto che se la Birmania, negli anni passati, è stata in grado di contribuire allo svuotamento degli arsenali del blocco di Varsavia comprando in blocco armamenti obsoleti per mezzo di valuta pregiata, consentendo agli stessi paesi di rifornirsi di tecnologia militare all'avanguardia, una parte consistente di questo merito va agli amministratori del Fondo norvegese, che hanno potuto agire incontrollati in un periodo nel quale il paese scandinavo, come per gran parte della sua storia, era governato dal Partito Socialdemocratico.
Dimenticavo di aggiungere che il Fondo possiede anche rilevanti quote di partecipazione nelle principali aziende petrolifere ed energetiche della Thailandia, ma quella dello sviluppo dell'economia turistica nel Sud-est asiatico, che sembra essere l'obiettivo principale della costruzione dei due gasdotti Yadana e Yetagun, è una storia che andrà raccontata a parte e in dettaglio più avanti. ( fine )
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