mercoledì 30 gennaio 2013

La Deutsche Bank e lo sterminio degli ebrei \3

Il 1938 segnò un cambio di passo nelle persecuzioni antiebraiche. Tra il 9 e il 10 novembre, nella cosiddetta Notte dei Cristalli, i nazisti lanciarono un pogrom violentissimo che portò alla distruzione di oltre 7500 negozi e alla devastazione e all'incendio di quasi tutte le sinagoghe della Germania. La polizia ricevette l'ordine di non intervenire e i vigili del fuoco fecero attenzione solo a che il fuoco non si trasmettesse agli edifici vicini. Gli squadristi ebbero via libera: il numero delle vittime decedute in seguito ai pestaggi fu di varie centinaia, senza contare i suicidi. Circa 30.000 ebrei vennero deportati nei campi di concentramento di Dachau, Buchenwald e Sachsenshausen.

In tale occasione il Ministro della Propaganda Joseph Goebbels trascrisse nel suo diario una conversazione avuta con Hitler: "Il Fuhrer desidera prendere misure molto dure contro gli ebrei. Devono rimettere in piedi i loro negozi da soli. Le compagnie di assicurazione non pagheranno un soldo. Dopodiche il Fuhrer vuole gradualmente espropriare le imprese ebraiche, pagandole con titoli di stato che potremo rendere nulli in qualsiasi momento."

Il giorno successivo Hermann Goring, numero due del regime, in un discorso di fronte a un'assemblea di capi sezione del partito, manifestò la chiara intenzione del regime nazista di gestire i profitti del processo di "arianizzazione" al fine di finanziare lo sforzo bellico: "E' sottinteso che un controllo sulle arianizzazioni passate e future può essere imposto in qualsiasi momento. E' altrettanto sottinteso che i casi particolarmente importanti di arianizzazione o almeno le negoziazioni più rilevanti fin dall'inizio saranno effettuate al vertice, così che ogni possibile controllo garantisca che i benefici vadano realmente al Reich."



Mentre il numero di attività "non-ariane" messe in vendita aumentava costantemente, la gente si lasciava andare, anche in pieno giorno, a saccheggi di abitazioni e negozi "ebraici": ad Amburgo, la villa di un ricco commerciante venne svuotata di tutto e gli oggetti furono posti immediatamente all'asta sulla pubblica via. Per gettare benzina sul fuoco il governo emise l'Ordinanza sull'Esclusione degli Ebrei dalla Vita Economica Tedesca, che impediva a ogni cittadino ebreo di gestire negozi o di amministrare imprese e che autorizzava ogni imprenditore a licenziare un dipendente ebreo senza dover temere alcuna conseguenza sul piano giuridico. La misura fu aggravata dall'imposizione di una tassa aggiuntiva del 25 per cento sui tutti i beni "ebraici". Quelli che avessero cercato di portare i loro averi all'estero sarebbero stati perseguiti per legge e se per caso fossero riusciti a emigrare, avrebbero perso automaticamente la nazionalità tedesca e tutti i loro beni sarebbero stati confiscati dallo Stato.
Secondo una stima fatta da un dirigente della banca alla fine degli anni trenta, il valore dei beni immobili posseduti da ebrei in Germania ammontava a circa 8-9 miliardi di marchi. Visto che un Reichmark nel 1939 valeva circa quattro euro del 2008, la cifra ammonterebbe a 30-35 miliardi di euro, ma è probabile che vada ritoccata per eccesso perché le proprietà possedute da "non-ariani" erano ingenti e includevano anche due grandi banche, la Mendelssohn & Co. di Berlino e la Simon Hirschland di Essen, svariate banche minori, grandi aziende minerarie con relativi possedimenti, case editrici, fabbriche di ceramiche e di porcellana, più una miriade di negozi e piccole imprese. Quello che è certo è che la prospettiva di incamerare tali beni suscitò una feroce competizione tra le due principali banche private, la Dresdner Bank e la Deutsche Bank, che spinte dall'avidità tentarono di inserirsi nel processo di "arianizzazione" per impedire che tutte le ricchezze venissero incamerate dallo Stato.
Già nell'agosto del 1937, la Deutsche Bank aveva chiesto a tutte le filiali di riferire i casi di aziende "non ariane" che avessero un'elevata posizione debitoria, in modo da poter spingere facilmente i proprietari a vendere. Nel 1938 questi sforzi vennero sistematizzati. In una lettera del 4 gennaio, inviata dal Cda della banca ai direttori delle filiali, si chiedeva di stilare una lista di tutta la clientela "non ariana": "Recentemente abbiamo avuto numerose discussioni con voi circa il fatto di intrattenere rapporti d'affari con committenti non-ariani, e vi abbiamo detto solo pochi giorni fa come vediamo il futuro sviluppo di questo tipo di azienda. In seguito abbiamo avuto notizia da parte vostra che siete in costante contatto con tali imprese e che avete offerto loro i vostri servizi, o intendete offrire i vostri servizi in connessione con l'arianizzazione. [...] L'obiettivo della lista che vi chiediamo è quello di metterci in grado di considerare se [...] possiamo aiutarvi nei vostri sforzi, benché noi siamo consapevoli che, nell'immediato, le negoziazioni vadano condotte da voi stessi.[...] In questo senso, noi siamo interessati in quelle aziende non-ariane di dimensioni maggiori presenti sul vostro territorio che non sono vostre clienti ma sono lo stesso  potenziali candidate per l'arianizzazione, siano esse imprese private oppure società per azioni [...]così da essere in grado di offrire i nostri servizi nel caso di un possibile trasferimento."

L'obiettivo principale era trovare dei compratori per le aziende in vendita, possibilmente facendo in modo che non si scatenassero delle aste per quelle più ambite: questa ricerca divenne una vera e propria attività specializzata che le banche condussero cercando di promuovere un processo di concentrazione industriale, perché dopo la vendita avrebbero sostenuto il rilancio dell'impresa collocando sul mercato eventuali prestiti. La "caccia" ai possibili compratori, dunque, si rivelava un modo per incrementare il parco clienti della banca.
Nei casi in cui si realizzò una stretta collaborazione Stato-banche l'intero processo divenne ancora più efficiente. Il direttore della regione della Saar-Palatinato della Deutsche Bank, il giorno dopo la Notte dei Cristalli scriveva: "Da questa sera tutti i beni di proprietà di ebrei nel distretto amministrativo verrano trasferiti a questa compagnia (Saar-Palatinate Asset Realization Company), la procedura usuale è che il proprietario ebreo irrevocabilmente autorizzi la compagnia ad amministrare i suoi beni e a trasferirli in mani ariane; [...] La compagnia effettuerà velocemente la vendita dei beni ad essa trasferiti, mentre le banche ad essa collegate potranno offrire crediti ai compratori."

La Deutsche Bank compilò una lista di 700 imprese delle quali 200 furono vendute entro il luglio e altre 260 entro la fine di Agosto 1938. L'istituto di credito fu particolarmente attivo in settori quali il tessile e tabacco, entrambi fortemente dipendenti dall'importazione di materie prime da paesi esteri nei quali la banca aveva forti interessi, vista la sua vocazione originaria di finanziatrice del commercio internazionale. Come già detto, l'acquisizione di due grandi banche riuscì nonostante l'opposizione del governo nazista, che non voleva che la Deutsche Bank acquisisse troppo potere rispetto alla concorrente Dresdner Bank, privilegiata da esponenti del regime e soprattutto dalla Gestapo. Tra gli acquisti ci furono anche molte banche minori, aziende del settore minerario-carbonifero con proprietà nell'Europa Centrale e una casa editrice, la cui "arianizzazione" si rivelò particolarmente ambita dai vertici del Partito NazionalSocialista, vista l'importanza accordata dal regime alla propaganda.

Nella bozza di una lettera conservata negli archivi dell'istituto, risalente a questo periodo, si legge: "Al fine di creare un definitivo stato di pace nell'economia prima possibile, le autorità del Reich stanno discutendo l'idea di una completa soluzione del problema non ariano nell'economia." (continua)

domenica 27 gennaio 2013

La Deutsche Bank e lo sterminio degli ebrei \2

L'ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista (NSDAP) modificò profondamente il clima interno alla Deutsche Bank: gli impiegati erano uno dei ceti più colpiti dalla depressione economica e dal taglio dei salari, il che provocò in loro la paura di perdere la propria posizione sociale, accompagnata da un sentimento di ostilità verso le colleghe di sesso femminile, oltre che verso gli ebrei.
All'inizio del 1932, circa un decimo del personale era membro della NSDAP e dopo il gennaio 1933, quando Hitler venne eletto Cancelliere, il management dell'istituto di credito pensò che fare sempre più concessioni a questa componente politicizzata fosse il modo giusto per ingraziarsi i favori del nuovo governo.
Il 30 novembre 1933, il congresso generale della banca fu aperto da una parata degli impiegati membri delle SA, delle SS e delle associazioni paramilitari di estrema destra. L'orchestra della banca suonò "Deutschland, Deutschland über alles" e il preludio all'opera di Richard Wagner "Die MeisterSinger von Nürnberg" (I Maestri Cantori di Norimberga).
Un membro del cda, nel suo messaggio inaugurale disse che "il nuovo spirito dell'epoca aveva già permeato l'intera banca" e promise di creare nuovi posti di lavoro attraverso il licenziamento del personale di sesso femminile e di origine ebraica (solo nel 1933 si aprirono 324 "vuoti" nell'organico aziendale).
I dipendenti di origine ebraica, che si trattasse di personale subordinato o dirigenziale, furono rimossi con decisione dai loro posti, anche in seguito ad assalti fisici da parte di squadre di nazisti contro le filiali nei quali questi lavoravano. Improvvisamente la Germania era diventata una nazione di informatori, pronti a rivelare alla Gestapo ogni possibile dubbio o sospetto riguardo all'origine razziale e alle tendenze politiche dei loro vicini di casa o colleghi di lavoro.
Uno degli esponenti di alto livello della banca, Georg Solmssen, portavoce ufficiale dell'istituto, in una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio dei Supervisori, il 6 aprile del 1933 scriveva: "L'esclusione degli ebrei dallo stato di servizio, ottenuta attraverso misure legislative, solleva la questione di quali conseguenze questa misura - che è stata accettata come evidente da parte della classe dirigente - porterà per il settore privato. Temo che siamo soltanto all'inizio di una consapevole e pianificata evoluzione, diretta all'indiscriminata distruzione morale ed economica di tutti i membri della razza ebraica che vivono in Germania. La totale passività di quelle classi non appartenenti al Partito NazionalSocialista, la manifesta mancanza di ogni sentimento di solidarietà da parte di tutti coloro che, nelle aziende interessate, hanno lavorato fianco a fianco con colleghi ebrei, la sempre più chiara prontezza ad approfittare dei posti rimasti vacanti e il silenzio tombale che accompagna l'ignominia e la vergogna irrimediabilmente inflitta a coloro che, benché innocenti, vedono le fondazioni del loro onore e e della loro rispettabilità minate da un giorno all'altro [...] Ho la sensazione che [...] anche io sarò scaricato appena arriverà dall'esterno il richiamo deciso ad includermi nella "campagna di pulizia"."
Il giorno dopo che Solmssen aveva scritto la sua lettera, il governo promulgò la legge sul risanamento della funzione pubblica che ebbe l'effetto di cacciare circa  5.000 "non-ariani" dai loro posti di lavoro nella settore pubblico. Nel 1933 la popolazione di origine ebraica in Germania contava circa 600.000 persone, gran parte delle quali occupate nel settore privato. Licenziarli non era per niente facile perché non esisteva ancora una chiara definizione che aiutasse a distinguere un ebreo da un ariano: questa giunse solo nel 1935, con le famigerate leggi di Norimberga.
Oltre a ciò, esistevano dei vincoli legali che impedivano ai datori di lavoro di licenziare i propri dipendenti ebrei, che spesso erano tra i migliori. Per cui lo Stato, coadiuvato dalle banche, iniziò a esercitare delle pressioni fortissime su tutte quelle aziende che avevano membri di origine ebraica tra i dipendenti oppure tra il management. Le pressioni erano di vario genere e consistevano nel boicottaggio dei prodotti sul mercato interno, nelle restrizioni alla fornitura di materie prime oppure nella minaccia, da parte delle banche, di revocare l'apertura di credito fatta in precedenza al proprietario. Questa in particolare risultava particolarmente efficace perché, vista la perdurante crisi economica e l'aumento delle tasse imposto dal regime per finanziare il riarmo, molte imprese riuscivano a tirare avanti solo grazie al credito fatto dalle banche.

Per quanto riguarda le aziende possedute da ebrei, si arrivava anche alle minacce fisiche e alla deportazione in campo di concentramento. Nel 1932 in Germania c'erano circa 100.000 aziende di proprietà "non-ariana"; nel 1935 questa cifra era calata a un numero tra 75.000 e 80.000. Alla fine del 1937, i due terzi delle piccole imprese di proprietà di ebrei avevano già chiuso i battenti ed erano state rilevate a prezzi di svendita, di solito meno di un sesto del loro valore, da esponenti "ariani", cioè membri o simpatizzanti del Partito NazionalSocialista.

I proprietari delle aziende più grandi, avendo più risorse a disposizione, riuscirono a resistere fino al 1938, ma già alla fine del 1936, 360 di essi erano stati costretti a svendere i loro beni a persone di origine "ariana".
Va tenuto presente che in questa fase la cessione era ancora "volontaria", cioè teoricamente dipendeva dalla libera volontà del proprietario. Solo dopo il 1938 l'arianizzazione divenne "coatta", cioè imposta con la forza e con la violenza fisica dallo Stato.

La Deutsche Bank svolse un ruolo importante sia nella fase di "persuasione", negando crediti ad aziende in difficoltà gestite da ebrei e ai loro clienti o fornitori, sia sforzandosi di trovare sul mercato dei possibili acquirenti disposti a rilevare l'impresa. Naturalmente, il gioco di sponda con le autorità naziste nel vessare le aziende "non-ariane" durava fino a quando il proprietario non si diceva disposto a svendere il suo bene a un prezzo largamente inferiore a quello di mercato. La banca guadagnava comunque dalla transazione perché, oltre a percepire una commissione sul prezzo di vendita, riusciva a entrare con dei suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione e finanziava la ristrutturazione dell'azienda con un corposo mutuo. E' superfluo aggiungere che tale ristrutturazione prevedeva l'espulsione dal posto di lavoro di tutto il personale di origine ebraica, oltreché dei sindacalisti e, in generale, di tutti coloro che erano invisi al regime. (continua)

sabato 26 gennaio 2013

La Deutsche Bank e lo sterminio degli ebrei \1

Fondata nel 1870, pochi mesi prima dell'unificazione tedesca, grazie a una licenza concessa dallo stato prussiano, la Deutsche Bank venne concepita con l'intento patriottico di sfidare l'egemonia del mercato londinese nel finanziamento del commercio d'oltremare e, pertanto, di svincolare i mercanti tedeschi dalla dipendenza da Londra per quanto riguarda l'accesso al credito.
Nei primi anni della sua esistenza la banca berlinese conobbe un'espansione molto rapida, stabilendo nuove filiali a Londra, New York, Parigi, Shangai e Yokohama. Nel 1874 creò un'istituzione sorella per il mercato del Sud America: la Deutsch Ubersee Bank. Oltre a finanziare il commercio, l'istituto svolse importanti operazioni per conto del neonato governo tedesco quali, ad esempio, la vendita sul mercato asiatico di gran parte delle riserve d'argento della Prussia, nel momento in cui l'Impero Guglielmino si apprestava ad abbracciare il sistema valutario basato sull'oro, abbandonando definitivamente quello legato all'argento.
La Deutsche Bank contribuì fortemente allo sviluppo e al consolidamento della grande industria tedesca, specialmente nel settore elettrotecnico (uno dei soci fondatori era parente di Siemens, socio fondatore dell'omonima azienda), promuovendo un processo di concentrazione che, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, lasciò sul mercato solo due soggetti: la Siemens, per l'appunto, e l'AEG.
Agli inizi degli anni Trenta, la Deutsche Bank era la più grande banca tedesca, ma il suo potere economico era divenuto oggetto di aspre controversie: la crisi economica del 1929 aveva messo a rischio la liquidità dell' istituto bancario il quale, per tutelarsi, era stato costretto a chiedere il rientro dei crediti concessi alle piccole e medie imprese, attirandosi così l'odio di molti piccoli imprenditori gettati sul lastrico dall'improvvisa restrizione creditizia.
Inoltre molti governi, per cercare di arginare le conseguenze della crisi, avevano messo in atto politiche protezionistiche, con l'effetto di far calare bruscamente il volume di scambi del commercio mondiale. Così il giro d'affari della Deutsche Bank era notevolmente diminuito, con la conseguenza che i dirigenti furono costretti a chiedere sussidi allo Stato per sopravvivere, rendendo l'istituto di credito succube del potere politico.
I nazisti nutrivano un particolare odio per le grandi banche come la Deutsche Bank, sia per ragioni ideologiche (erano contrari al libero mercato e convinti che le ragioni dell'economia dovessero essere subordinate alle necessità della "comunità nazionale") sia per ragioni pratiche (molti affiliati al partito nazista provenivano dalle file di quella piccola borghesia rovinata dalle restrizioni creditizie degli anni successivi alla Grande Crisi) e quando giunsero al potere si impegnarono per incrementare la rete di controlli ereditata dai governi passati, al fine di estendere l'influenza governativa, e quindi del Partito Nazista, sulle banche e sulle loro dinamiche interne.
Nel 1934, l'anno successivo all'elezione di Hitler a Cancelliere, venne inaugurato un sistema generale di gestione pubblica del commercio, che prevedeva la regolamentazione del flusso delle materie prime verso le aziende e restrizioni al pagamento dei dividendi; dopo il 1936 fu introdotta la regolamentazione dei prezzi, che furono pertanto sottratti alle fluttuazioni del libero mercato.
Nel frattempo l'economia continuava a declinare: il volume dei crediti nel bilancio della Deutsche Bank scese dal 55,4 per cento nel 1932 al 35,4 per cento nel 1937. Nonostante una breve ripresa nel 1938, il mercato dei mutui bancari continuò ad andare male per tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale. Inoltre, lo Stato nazista aveva un continuo bisogno di finanziamenti per poter estendere le proprie attività di controllo sull'economia e le grandi banche erano pertanto costrette, se volevano ricevere i sussidi essenziali alla propria sopravvivenza, a investire forti somme nell'acquisto di titoli pubblici emessi dal Ministero del Tesoro. Per non parlare del fatto che, a partire dal 1936, lo sforzo per il riarmo generale in previsione della guerra indusse i vertici del governo a esercitare ulteriori pressioni sugli istituti di credito per ottenere altri finanziamenti attraverso l'acquisto di buoni del Tesoro.
Nonostante ciò, se osserviamo il grafico che raffigura l'andamento del bilancio patrimoniale della Deutsche Bank, notiamo che, a partire dal 1938, il volume degli affari inizia a salire costantemente per poi impennarsi addirittura negli ultimi tre-quattro anni del conflitto bellico. Che cosa ha provocato questa improvvisa ascesa del volume d'affari della Deutsche Bank negli anni che vanno dal 1938 al 1945? La risposta è semplice e brutale allo stesso tempo: messa alle strette dalla crisi economica e dalle richieste dello Stato di finanziare il riarmo dell'economia tedesca, i dirigenti dell'istituto berlinese scelsero di percorrere l'unica strada che avrebbe consentito loro di sopravvivere all'ostilità dei vertici del Partito Nazista, cioè partecipare attivamente al saccheggio e alla spoliazione dei beni della popolazione ebraica, in Germania prima e nei territori occupati dalle armate del Terzo Reich, dopo, collaborando con la Gestapo e le SS nella persecuzione e nello sterminio degli ebrei attraverso la creazione dei campi di concentramento, il più grande dei quali, quello di Auschwitz, fu finanziato con un mutuo proprio dalla Deutsche Bank. (continua)

venerdì 11 gennaio 2013

La regola del silenzio


Un film che vorrebbe spiegare ai giovani che cos'è stata la politica per la generazione degli anni settanta: questo è "La regola del silenzio", ultima fatica di un attempato ma vitale Robert Redford. Il problema è che i giovani difficilmente lo andranno a vedere (in sala si notavano solo over 50) ed è un peccato perché il tema trattato nel film, il significato dell'esistenza umana in rapporto all'impegno nella sfera pubblica, non ha confini temporali e può suscitare interrogativi e discussioni anche nella società di oggi.
"La regola del silenzio" è un thiller pieno di azione e di colpi di scena, arricchito da una splendida fotografia, con una trama che fa emergere in maniera drammatica le contraddizioni, i rimpianti e i risentimenti dei protagonisti di una stagione politica troppo intensa per essere accantonata semplicemente rintanandosi nel confortevole anonimato della vita privata. Di questa verità fa le spese l'avvocato Jim Grant (Robert Redford), padre single con una figlia che potrebbe essere tranquillamente sua nipote, vista la distanza anagrafica che intercorre fra i due, il quale una mattina scopre che Sharon Solarz (Susan Sarandon), assieme alla quale militava nella formazione dei Weather Underground, è stata arrestata dall'Fbi mentre si recava a costituirsi per l'omicidio di una guardia giurata, avvenuto nel corso di una rapina negli anni settanta.
I componenti del commando sono riusciti a sfuggire alla giustizia per oltre trent'anni, abbandonando l'attività terroristica e assumendo nuove identità, ma un giovane giornalista locale, Ben Shepard, impersonato da Shia LeBeouf, comprende subito che l'arresto di Solarz\Sarandon gli offre la possibilità di fare lo scoop della sua vita e si mette sulle loro tracce, attratto magneticamente da una dimensione della quale ha sempre ignorato l'esistenza: la verità senza compromessi e senza mediazioni, l'affermazione titanica del proprio io fuori dai limiti ristretti della morale convenzionale e dalle regole della società. Shepard\LeBeouf inizia così a rovistare ossessivamente nelle vite private degli ormai anziani reduci del Movimento contro la guerra in Vietnam, i quali pare che non riescano a fare a meno di fornirgli, anche involontariamente, preziose informazioni.
Il colloquio in carcere tra la Solarz\Sarandon in manette e Shepard\LeBeouf, sotto gli occhi degli esterrefatti agenti dell'Fbi, è uno dei momenti più intensi di tutto il film: in quegli attimi è chiaro che, agli occhi del giornalista, la scelta di vita fatta dalla terrorista emana una sorta di magia irrefrenabile, una purezza che sembra scavalcare e travolgere i limiti del buon senso e della ragione, pur nella logica sconclusionata tipica degli ex terroristi ("abbiamo sbagliato, ma avevamo ragione").
Grant\Redford, intanto, più preoccupato di preservare la felicità che si è costruito che di difendere le ragioni del proprio impegno politico di un tempo, decide di affidare la figlia\nipote al fratello e di entrare in clandestinità, chiedendo aiuto ai vecchi compagni del Movimento. Inizia così una corsa a ritroso verso i luoghi e le persone che hanno accompagnato la giovinezza inquieta e sovversiva dell'avvocato, sempre inseguito dagli agenti dell'Fbi e da Shepard\Lebeouf, in un susseguirsi mozzafiato di arresti, fughe, intercettazioni fuori da ogni regola e incontri all'insegna della nostalgia, in preda al timore di venire risucchiati da un passato ormai lontano, ma sempre, drammaticamente vivo.
Ritratto romantico e, forse, eccessivamente indulgente di una generazione, che il regista vuole concludere con l'affermazione dei sentimenti e degli affetti personali sull'aridità delle astrazioni teoriche e intellettuali, quasi a voler chiudere la porta a qualsiasi spiegazione approfondita sui perché di scelte tanto radicali e tanto distruttive. Alla fine, tutto il film lascia trapelare il desiderio di voltare le spalle non solo all'impegno civile, ma anche a qualsiasi legame con la sfera pubblica, come se la dimensione degli affetti privati potesse colmare il bisogno di senso che ogni individuo, uomo o donna, si porta dietro. Un'asserzione quasi ideologica, che fa risaltare vistosamente una delle grandi lacune del film: in tanta celebrazione dei sentimenti, degli affetti e della comprensione umana non viene dedicata neppure una parola alla guardia giurata uccisa durante la rapina alla banca, della quale non si viene a sapere nemmeno il nome. Come se fosse una figurina, invece che una persona in carne e ossa. Forse è un dato casuale, ma questo è esattamente il modo in cui i terroristi vedevano le loro vittime, attraverso le lenti deformate dell'ideologia.